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Considerazioni sul significato di opera d'arte pittorica

Introduzione

Oggigiorno è opinione diffusa che per essere artisti basti riuscire ad esprimere, attraverso le proprie opere ( siano esse di tipo pittorico o scultoreo, o quant'altro si possa ascrivere al campo dell'arte), delle emozioni ...come se l'opera d'arte, per essere tale, avesse come unica prerogativa imprescindibile quella di impressionare soltanto la sfera emotiva di che la osserva. A mio avviso, si tratta, se così possiamo definirla, di una filosofia del tutto errata, lontana dal vero significato di opera d'arte.

In questa mia breve trattazione cercherò appunto di esporre in modo chiaro le ragioni, frutto della mia esperienza ormai venticinquennale di pittore, che mi portano a dissentire proprio da queste concezioni artistiche attuali, a mio avviso del tutto approssimative e superficiali. Spero vivamente che quanto ho scritto possa, perlomeno, essere d'aiuto a tutti coloro che, come me, amando la verità, sono costantemente alla ricerca delle motivazioni di fondo delle cose, e quindi anche degli argomenti oggetto di discussione di questo mio libretto: l'arte di oggi, che cosa è davvero degno di essere considerato opera d'arte e perché, che cosa invece non lo è e chi è il vero artista. Auguro a tutti gli interessati una buona lettura.

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Buona parte della pittura contemporanea ha come presupposto che la bravura nel disegno accademico, tradizionalmente considerata la base imprescindibile del provetto pittore, sia ormai superata e che, per essere dei bravi pittori, sia invece assolutamente necessario riuscire a stupire l'osservatore del dipinto con effetti speciali, in modo da impressionarne principalmente, se non esclusivamente, la sfera emotiva. Non importa se in modo positivo o negativo, l'importante è provocare in lui delle emozioni. Emozioni... e ancora e soltanto emozioni scaturite da esperienze di tipo sensoriale e niente più... niente di ciò che riguarda la dimensione più profonda e totalizzante dell'uomo, e cioè quella spirituale, mistica. Va da sé, quindi, che più il pittore appare egocentrico e si esprime creando dipinti che nessuno ha mai fatto prima di lui ( non ha importanza se magari suscitano scandalo...) più egli è considerato un artista meritevole e di successo. Ma allora mi domando, certe cose che si vedono ai nostri tempi in campo artistico-pittorico, come ad esempio certi quadri realizzati con delle scarpe tagliate a metà secondo il senso della lunghezza, attaccate sul supporto pittorico dal lato tagliato e poi spruzzate e sgocciolate con i colori in un modo che ha tutta l'aria di essere, e in effetti lo è, casuale; oppure, che ne so (c'è solo l'imbarazzo della scelta perché l'elenco è lungo), certi quadri, ostentatamente più pittorici, come quelli che consistono in macchie di colore che sembrano (ma in definitiva lo sono) messe a caso, i cosiddetti dipinti informali, con il colore che talvolta viene dato intenzionalmente in modo molto diluito per creare sulla tela delle striature e delle sgocciolature... e poi ci sarebbero tantissimi altri esempi che qui mi è impossibile elencare: sono dipinti questi che si possono considerare davvero delle opere d'arte? In verità sono dei “manufatti” che in genere si possono fare tutti. Secondo quanto ci viene detto da coloro che sono preposti alla loro presentazione (critici, mercanti, gli stessi creatori dei dipinti...), quei quadri hanno il pregio preziosissimo di essere il prototipo di tutta una lunga serie di opere affini. Il presunto artista, iniziatore di quel modo di fare pittura, sarebbe cioè da considerarsi un vero artista perché è stato il primo ad averne l'idea. Ma può bastare, mi chiedo io, il fatto che un qualsiasi “manufatto” sia di nuova concezione, non abbia quindi precedenti nella storia della pittura, per assurgere ad opera d'arte? Non penso proprio! Chi di noi non riesce, con un po' di impegno e buona volontà, a pensare a qualcosa alla quale, in campo pittorico, nessuno ha mai pensato prima e poi a realizzarla!: non è necessario che sia una cosa complessa... anzi più elementare è meglio è, in quanto ciò la rende certamente comprensibile a tutti, e quindi più adatta a comunicare al pubblico, alla massa, perché di facile comprensione e lettura anche per i più ignoranti in materia. Non sto cercando di dire che certi modi di esprimersi in pittura e nell'arte in genere, che sono lontani da quello tradizionale che poggia sul disegno accademico, non abbiano un loro valore! Di sicuro, però, non ne parlerei come di pittura... né tanto meno di opera d'arte! Semmai, potrebbero essere considerati studi di colorismo, volti a creare certi effetti con i quali, avvalendosi delle tecniche piùdisparate, si vuole provocare, in chi li osserva, forti emozioni e niente più. Ma il contenuto dov'è? Non voglio, per il momento, addentrarmi ulteriormente nell'argomento... per ora mi basta dire che oggi in pittura, ma anche nell'arte in genere, c'è tanta, troppa approssimazione e superficialità, in parte dovuta all'ignoranza, in parte dovuta agli interessi economici del mercato dell'arte che ha valorizzato questo modo, superficiale e a dir poco discutibile, di fare pittura. Se è vero, come è vero, che l'opera pittorica ( ma anche artistica in genere) è l'espressione del sentire di chi la crea, è mai possibile che l'autore di queste composizioni abbia dentro di sé solo emozioni da comunicare! L'uomo è fatto forse di sole emozioni? Vedremo più avanti che il vero artista è colui che, per un fatto di empatia, si immedesima con le sue creazioni ed esprime, attraverso esse, la propria interiorità che tende alla completezza, a ciò che io chiamo Infinito, intendendo con questo termine Dio di per sé indefinibile, cioè non confinabile e delimitabile in nessun modo. Si tratta di caratteristiche che appartengono alla personalità del vero artista e che ritroviamo tutte riflesse nelle opere d'arte che egli crea.

Da quello che ho appena detto si deduce subito che la vera opera d'arte è unica e originale sotto ogni punto di vista. In verità sono due aspetti correlati perché l'unicità presuppone l'originalità e viceversa. Per essere unico, un dipinto, non solo non deve essere la copia, neanche parziale, di nessun altro, ma deve essere espressione della personalità unica di chi lo realizza. Ma si è veramente unici solo se si è liberi interiormente, se si è se stessi... e si può dire di esserlo solo quando si vive nella consapevolezza che Dio è l'Infinito, intendendo con questo ultimo termine l'Assoluto indefinibile, inarrivabile alla razionalità umana. Se Dio fosse una realtà sondabile e comprensibile dalla ragione umana non potrebbe essere che finito, in quanto l'uomo, con i suoi limiti di creatura avente un corpo materiale, razionalmente non può che concepire cose finite... e se Dio avesse davvero, in qualche modo, dei limiti, non sarebbe assoluto ma relativo perché, essendo delimitato, sarebbe possibile rapportarlo e relazionarlo con le altre cose finite che l'uomo concepisce con la sua mente e percepisce con i propri sensi. Dio, essendo l'Assoluto, non può in alcun modo dipendere da niente. Anche se, ad un primo approccio, tutte queste riflessioni di tipo filosofico-psicologico sembrano esulare dall'argomento principale qui oggetto di discussione, esse sono invece di basilare importanza per comprendere il reale significato di opera d'arte, e perciò saranno oggetto di approfondimento nel proseguo di questa mia trattazione.

Vorrei adesso porre l'attenzione su quelle opere pittoriche figurative nelle quali non c'è la pretesa del pittore di rappresentare in modo realistico ciò che ritrae. Ma, prima di farlo, voglio dire qualcosa sul significato di astrazione in arte.

Se il termine “astratto” viene preso nel significato etimologico ( “ab-s-traho”, tiro fuori, metto in evidenza), si tratta di selezionare e di ridurre, anche in modi molto audaci, quanto viene fornito dal dato naturale: un'opera di scarnificazione, di semplificazione. Si capisce facilmente che si può fare un dipinto astratto anche senza ricorrere a composizioni meramente geometriche o addirittura informali. Ma mi spiego meglio. Quando ritraggo, ad esempio, un volto, posso decidere di rinunciare a fare la somiglianza perfetta facendo un'astrazione. Posso metterne in evidenza la forma, rinunciando a ritrarre quella realistica. In genere, quando si astrae, ma rimanendo nell'ambito di una rappresentazione pittorica figurativa, lo si fa avvalendosi di figure geometriche universali, di dominio pubblico: nel caso in esame, potrei approssimare la forma reale del volto a quella di un ovale. In questo modo riesco a metterne in evidenza la forma perché la figura geometrica utilizzata allo scopo è immediatamente riconoscibile da tutti in quanto, come ho appena detto, si tratta di una figura universale. Stando perciò al significato della parola astrarre, facendo questa operazione, posso dire di aver fatto una astrazione. Ma, nel farlo, ho rinunciato a ritrarre quel volto in modo aderente al dato naturale: ne ho alterato la forma che così non rispecchia più la realtà; in un certo qual modo l'ho semplificato, ho lavorato in togliere, in quanto in realtà la forma di quel volto è ben più complessa, è ben lontana dall'essere quell'ovale di cui mi sono avvalso per raffigurarla sulla tela. Questo procedimento, naturalmente, posso adottarlo anche per rappresentare altre componenti del ritratto. Si astrae, perciò, non solo quando si dipinge in modo informale, ma anche quando, ad esempio, si stilizza una figura. Tutte le volte che nel ritrarre qualcosa si semplifica il dato naturale, ricorrendo a figure e forme di tipo universale, si fa una astrazione.

Spesso oggigiorno, visitando le mostre di pittura, si vedono esposti dipinti figurativi che sono delle vere e proprie astrazioni. Sarebbe interessante chiarire, a mio avviso, se gli autori lo hanno fatto di proposito o se piuttosto si tratta di tentativi mal riusciti di rappresentare la realtà in modo oggettivo. Spesso, quando si fa notare che un dipinto non rispecchia perfettamente la realtà, la risposta è che si è voluto dare una interpretazione personale... che non è necessario nemmeno saper ritrarre le cose in modo aderente al dato naturale perché il realismo (e con esso, c'è chi pensa, addirittura anche tutta la pittura figurativa in generale) è ormai superato. Ma forse, quando si fanno certe affermazioni, ci si dimentica che, per dire con certezza di aver superato una qualunque cosa, bisogna prima aver dimostrato agli altri, ma direi ancor prima soprattutto a se stessi, di averla fatta e di esserci riusciti! Oggigiorno è opinione piuttosto diffusa che, per fare dell'astrazione, non siano necessarie né la bravura nel disegno a mano libera né avere le capacità tecniche per rappresentare realisticamente il dato naturale sulla tela. Tutto in nome di quella moda di pensiero, di quel modo di concepire l'arte, secondo cui l'importante è riuscire a trasmettere delle emozioni che più forti sono meglio è... il resto conta relativamente o non conta per nulla. Si vorrebbe far credere che il pittore al quale riesce rappresentare le cose ritratte in modo realistico non riesce a fare la pittura astratta poiché, secondo i sostenitori di questa tendenza, egli non ha, non tanto le capacità tecniche, ma bensì l'inventiva e la fantasia necessarie! Posso dire a tal proposito, con la sicurezza che mi deriva da tanti anni di esperienza di pittore, che ciò non è assolutamente vero e che, oltretutto, c'è pure una spiegazione razionale per dimostrarlo che adesso vado ad esporre.

Il pittore capace, che sapientemente sa rappresentare ciò che ritrae in modo realistico, in grado cioè di riproporre sulla tela le cose ritratte in modo del tutto somigliante al dato naturale, ha necessariamente la mente aperta a trecentosessanta gradi. Ce l'ha perché, per cogliere le cose che ritrae in modo esatto, deve avere la mente sgombra da ogni possibile schema fisso, da ogni regola e modo di rappresentazione che, semplificando il dato naturale, non gli permette di apprezzarlo, e conseguentemente di ritrarlo, in tutta la sua reale complessità. Se non avesse questa libertà interiore, e quindi la sua mente fosse chiusa invece in schemi razionali preordinati, in modi, per così dire, fatti di intendere e concepire le cose, non potrebbe essere capace di dipingere in modo realistico, in quanto quelli schemi fissi che ha nella mente farebbero da filtro semplificativo della realtà, la quale così verrebbe inevitabilmente ritratta in modo inesatto e incompleto. E veniamo adesso al dunque. Come ho già detto, quando, per rappresentare la realtà oggettiva, il pittore si avvale di figure universali come l'ovale, il cerchio, il quadrato e così via, egli fa una astrazione semplificando il dato naturale. Ora, se il pittore provetto riesce a ricreare sulla tela la somiglianza perfetta di ciò che ritrae, perché non dovrebbe saper anche astrarre? Infatti, se per fare dell'astrazione deve necessariamente semplificare la realtà che ritrae, perché se sa ritrarre le cose che vede in tutta la loro complessità reale non dovrebbe saper ritrarle in modo astratto, e cioè semplificato? In parole povere, se riesce a fare la cosa più difficile perché non dovrebbe saper fare quella più facile? Si può però obiettare che indubbiamente può avere le capacità tecniche ma non è detto che abbia la fantasia e la creatività per farlo. A mio avviso non c'è niente di più falso! Ho già detto che se si ha la capacità di cogliere la realtà che ci circonda in modo del tutto somigliante è perché si ha una mente aperta, priva cioè di schemi razionali che la imprigionano e che ci impediscono di ritrarla come veramente la vediamo con gli occhi del corpo. Faccio a questo proposito un esempio per meglio chiarire. Chi fra i disegnatori e i pittori, specialmente i cosiddetti ritrattisti, non è a conoscenza dello schema, che viene insegnato anche nelle Accademie di Belle Arti, atto a facilitare gli allievi pittori alle prese con un ritratto di persona! Viene loro insegnato che il volto è inscrivibile in un ovale, che gli occhi, il naso e la bocca sono collocabili all'interno di questo ovale secondo precise proporzioni che li mettono in relazione con l'ovale del volto e fra di loro secondo rapporti ben precisi che non sto qui a ricordare. Una domanda che subito mi viene da porre è questa: ma quando si adotta schemi del genere si riesce davvero poi a rifare la somiglianza del volto che ritraggo? Non penso proprio! Ogni volto ha le sue caratteristiche che lo rendono unico, mentre lo schema che uso per riuscire a ritrarlo è sempre lo stesso a prescindere dal volto della persona che ho davanti a me. Subito allora una domanda sorge spontanea: sto davvero ritraendo quella persona o sto invece adattando il volto che devo ritrarre allo schema che ho in mente? Certo è che sarà difficile che ilmio disegno possa essere più di tanto somigliante all'originale! Questo perché parto da uno schema che, in quanto tale, è astratto e quindi lontano dalla realtà che devo ritrarre. Sarà quindi piuttosto improbabile che il volto reale rispetti perfettamente le proporzioni dello schema di cui io pittore mi avvalgo allo scopo di ritrarlo! Ribadisco perciò che solamente il pittore che ha la mente libera, non dipendente da schemi razionali preordinati e semplificativi, è in grado di ritrarre le cose della realtà che lo circondano in modo del tutto aderente al dato naturale! Ma chi è libero dentro ha anche la creatività e la fantasia, il senso dell'armonia e anche la genialità, ancor prima della mente direi soprattutto dello spirito, per poter inventare cose nuove e originali, per dare perciò anche la propria interpretazione a quello che dipinge secondo il suo modo personale e unico di sentire. Perché allora un pittore che ha dentro di sé questa libertà della mente e dello spirito non dovrebbe saper dipingere validamente anche in modo astratto o addirittura crearne uno nuovo?

Ora, se è vero che la capacità di dipingere bene il dato naturale in modo realistico presuppone anche quella di realizzare dipinti astratti e informali, non è sempre vero il contrario: non è detto cioè che il pittore che da sempre si dedica alla pittura astratta sappia fare il figurativo in modo realistico, sia dal punto di vista disegnativo sia da quello tecnico-pittorico di resa del soggetto rappresentato sulla tela. E' chiaro quindi che il pittore in grado di disegnare e dipingere in modo realistico è comunque più completo di quello che, non sapendo farlo, si dedica esclusivamente alla pittura astratta e informale.

Molti pittori contemporanei poi, sapendo di non essere in grado di disegnare e dipingere in modo realistico, a chi lo fa loro notare, rispondono che le loro creazioni, dal punto di vista espressivo, hanno il grande pregio di dare delle emozioni che le opere più tradizionali non trasmettono, poiché in queste ultime la ricerca della perfezione tecnica e la resa realistica del soggetto ritrattato, secondo loro, va sempre a scapito dell'aspetto espressivo, cosa quest'ultima che non è assolutamente vera. Osservazioni come questa rivelano una mentalità che ragiona per eccessi. Quando un dipinto è vera opera d'arte non è fatto né di sole emozioni né di solo virtuosismo tecnico volto unicamente a riprodurre esattamente la realtà. Gli estremi, come l'informale e l'iperrealismo, non sono mai opera di una mente libera! Quando si va agli eccessi è perché si è in una condizione di dipendenza psicologica da quello che si fa. Come artisti, per una questione di empatia, si tende ad immedesimarsi, come è giusto che sia, con quello che facciamo, ma non dovremmo spingerci fino ad identificarci con le cose finite che percepiamo con i nostri sensi e con la nostra mente limitata. Dovremmo acquisire la consapevolezza che noi non siamo niente di quello che facciamo... che possiamo sempre essere di più e meglio! Essere liberi dentro significa anche avere un equilibrio interiore. Partendo dalla consapevolezza di avere una spiritualità che tocca il suo punto più sublime quando prende coscienza dell'Infinito, il concetto più alto -col quale alludere a Dio- che può scaturire dalla mente dell'uomo (nonché l'identità più alta cui può aspirare), il vero artista non si lascia mai coinvolgere dalle cose finite e limitate, che non sono l'Infinito, a tal punto da diventarne dipendente. Se lo facesse non avrebbe la padronanza di se stesso... non avrebbe né una propria volontà né quindi libertà di scelta e tanto meno una personalità: sarebbe come un idolatra, totalmente dipendente da ciò che è l'oggetto della sua adorazione. La pittura informale e quella iperrealista, perciò, come ho poc'anzi detto, non si possono considerare tendenze artistiche indicative di una libertà interiore, in quanto estremizzazioni che necessariamente ci portano a vedere e ad intendere l'arte secondo punti di vista e modi di pensare fondati su cose finite, e perciò non scaturite da una mente che mette al primo posto Dio inteso come l'Infinito: l'enfatizzazione di queste filosofie materialiste (che poi si riflette nelle forme artistiche estreme di cui sto parlando), atta a “gonfiarle” per farle assurgere impropriamente e vanamente a valore assoluto come se fossero Dio stesso, è il primo segnale inequivocabile che tradisce una dipendenza da esse e quindi dalle cose finite su cui si fondano. Semmai si può dire che saper dipingere in modo iperrealista è la base tecnica di cui il vero pittore sa di non poter fare a meno, ma non è certo il fine ultimo della sua pittura! Se egli infatti ritrae qualcosa in modo assolutamente realista, senza cioè nessuna interferenza soggettiva, lo fa solo per esercizio... ed è ben lontano dal credere che la vera opera d'arte pittorica sia quella iperreale!

Quando invece il pittore crea mettendo al centro della sua arte la spiritualità umana più alta, e cioè quella fondata sul concetto di Dio concepito come l'Infinito, cioè l'Assoluto che di per sé è indefinibile, l'opera che compone non può che essere espressione della sua libertà interiore, in quanto Dio, il Tutto che non ha limiti, è la Libertà. Il dipinto così concepito ha le caratteristiche di vera opera d'arte perché, siccome scaturito dalla spiritualità più sublime dell'uomo, è l'espressione massima, il non plus ultra, della sua interiorità della quale il dipinto ne è il riflesso. Perché allora comporre dipinti la cui concezione non affonda le sue radici nella spiritualità più alta di cui l'uomo è capace! Perché non dare il massimo, non solo dal punto di vista tecnico della resa pittorica ma anche sul piano concettuale a livello di contenuto!

Molti generi pittorici dell'arte contemporanea, come l'iperrealismo e l'informale cui ho già accennato, sono nati come forma di protesta con l'intento precipuo di esprimere un disagio sociale: l'artista rinuncia volutamente a fare del suo dipinto un'opera d'arte, non lo crea cioè per rappresentare l'Infinito, ma gli attribuisce invece una valenza ed un significato finiti, facendo così in modo che a chiunque venga trasmesso lo stesso messaggio, quello che ritiene più adatto per denunciare certi aspetti della società che disapprova. Prendendo ancora come esempi le tendenze pittoriche iperrealista ed informale, si può notare che nella prima l'artista desiste dal dare una interpretazione personale per riprodurre meccanicamente, ed in modo integrale, gli elementi della realtà visiva che ritrae, col risultato di ridurre la sua pittura a mera e fredda tecnica razionale, volta esclusivamente al conseguimento di una resa pittorica che aspira ad essere addirittura migliore di una fotografia; in quella informale, invece, egli rinuncia completamente al figurativo mirando a trasmettere tutt'al più solo emozioni, e in genere lo fa essenzialmente mediante effetti coloristici. L'iperrealismo si è sviluppato nel corso della seconda metà degli anni Sessanta e si è affermato in America agli inizi degli anni Settanta ed è espressione di un atteggiamento contestatario: esso nasce come reazione al conservatorismo politico dell'America di quel periodo, al quale l'arte cerca di sottrarsi isolandosi in un mondo chiuso, volontariamente avulso dalla vita del paese, in un asettico virtuosismo tecnico depurato da ogni emotività che allontana gli artisti dai propri sentimenti personali e politici. In sintesi si può dire che l'Iperrealismo rappresenti una stasi nello sviluppo dell'arte moderna, una profonda riflessione sulla sua condizione e sul suo ruolo storico e culturale nell'ambito degli importanti mutamenti sociali del XX secolo. La tendenza Informale, invece, è nata nel secondo dopoguerra ed è essenzialmente l'espressione della perdita di certezze da parte degli artisti a seguito delle sofferenze e devastazioni causate dalla seconda guerra mondiale. Gli artisti avvertono la propria incapacità di trasmettere messaggi con la propria arte e, per far fronte alla nuova emergenza comunicativa, utilizzano i materiali più diversi rinunciando volontariamente al figurativo, alla geometria e al rigore matematico dell'Astrattismo. Quello di trasmettere emozioni sembra essere, sul piano espressivo, l'unico fine degli artisti che ancora oggi dipingono in modo informale.

Lo scopo principale del vero artista è e deve sempre essere quello di creare opere che parlano di Dio, dell'Infinito. I modi di concepire la pittura come quelli di di cui sto parlando (che definirei tematici in quanto comunque espressione di concetti finiti, siano essi razionali o emozionali), invece, devono essere, semmai, una temporanea parentesi, una breve divagazione con la quale il pittore dà, al contrario, un messaggio intenzionalmente mirato, netto e definito, ma soltanto come segno di rottura e di contestazione. Certo che ai tempi nostri di dipinti del genere se ne vede molti in giro! Possibile che i loro creatori abbiano sempre così tanto da protestare, al punto di non fare altro per tutto l'arco della loro carriera pittorica!

Ma torniamo adesso a parlare ancora del tema centrale di questa mia trattazione, e cioè del significato di opera d'arte, di cosa vuol dire essere un vero artista e delle sue implicazioni. Ho già detto che l'uomo, e quindi anche il pittore, se vuole essere libero davvero deve tendere a Dio, alla Sua completezza. Si tratta però di un avvicinamento asintotico, mai di una totale identificazione: questo evidentemente per via dei limiti insiti e ineludibili della natura umana; ma è comunque buona cosa adoperarsi in tal senso perché è l'unico modo per crescere interiormente e per vivere davvero, cioè nella pienezza che l'essere consapevoli di Dio, inteso come l'Assoluto indefinibile, rappresenta. Ecco perché l'artista vero è una persona fondamentalmente umile! Lo è perché riconosce i suoi limiti di uomo e tende, forte della sua fiducia in Dio, a migliorarsi, aspostare i suoi limiti, in quanto consapevole che, quando non c'è crescita interiore, manca lo spirito... e perciò non c'è creatività, non c'è vita... non c'è appunto Dio. E' per queste ragioni che il vero artista sa che la perfezione non è di questo mondo e che perciò non si finisce mai di imparare! Va detto anche che il pittore umile sa cogliere i minimi dettagli, i particolari anche più piccoli di ciò che ritrae, e di solito lo fa dipingendo su tele di dimensioni contenute, medio-piccole. Egli ama dipingere nel piccolo, a tal punto da sembrare un miniaturista. Anche il pittore iperrealista vuole cogliere i particolari, ma generalmente lo fa dipingendo su tele di grandi dimensioni. Parte da fotografie molto grandi ad alta risoluzione che copia sulla tela tale e quali servendosi di vari sistemi: come quello, così davvero poco artistico, di proiettare addirittura sulla tela l'immagine fotografica che vuole riprodurre, per evitare così di fare il disegno a mano libera, che magari non è capace nemmeno di fare, e dipingendo sulla base dell'immagine proiettata. Egli va sul grande formato per poter dipingere meglio in dettaglio. Ma quelli che in realtà l'occhio umano vede come piccoli particolari, in questo modo, non sono più tali, in quanto le foto che lui riproduce tale e quali sulla tela, sia per quanto riguarda il soggetto raffigurato sia per dimensioni, sono fortemente ingrandite e quindi non reali. Egli parte da una dimensione ingigantita dell'oggetto ritrattato per cogliere meglio quello che nella realtà i suoi occhi vedono come minimo dettaglio; quasi come per entrare nell'oggetto e descriverne anche ciò che ad occhio nudo l'uomo non riesce a vedere. A mio avviso questo non è essere umili! Non lo è perché, così facendo, il pittore lavora su grandi dimensioni, opera nel grande e non nel piccolo! Alterare le dimensioni di ciò che si ritrae, al solo scopo di renderci più comodo e agevole dipingere, non so poi fino a che punto per un pittore possa essere considerata una cosa lodevole! Sembra essere quasi più una deformazione professionale! E' vero che con i pennelli magari più di tanto non si può dipingere con esattezza i particolari molto piccoli, ma al limite si può sempre ricorrere a tecniche miste con le quali invece è più facile farlo! Ed inoltre, perché dipingere anche ciò che l'occhio umano magari neanche vede?

Come ho già detto il pittore umile è quello che dipinge prestando grande attenzione ai particolari, ma anche rifiuta a priori qualsiasi schema atto a controllare razionalmente la composizione nel suo complesso. Questo perché sa che esso finirebbe necessariamente con l'avere una valenza oggettiva e assoluta che, come tale, verrebbe anteposta a Dio. Il suo amore per i dettagli è tale che per lui essi diventano la chiave risolutiva dei suoi dipinti, i quali si può dire che vengano realizzati per piccole parti, secondo un processo esecutivo per cui ogni nuova aggiunta di particolari rimette sempre in discussione ciò che del quadro egli ha già dipinto: una sorta di progressivi piccoli aggiustamenti e modifiche che ogni volta possono interessare anche tutta la parte del quadro che egli ha già eseguito. Egli non cerca mai, almeno in fase di esecuzione pittorica del quadro, di avere a priori il controllo del dipinto nel suo insieme. Si tratta di una realizzazione del quadro che avviene per parti. Anche se un pittore così si trovasse a realizzare un'opera di dimensioni molto grandi, la cura e l'amore nell'eseguirla sarebbero comunque le stesse, se non addirittura maggiori, di quando lavora su piccoli formati. Si potrebbe però fare osservare che la cura dell'esecuzione pittorica è una caratteristica anche del pittore iperrealista! Ma allora qual è la differenza sostanziale fra il pittore umile di cui sto parlando e quello iperrealista? Se dal punto di vista tecnico si può dire che le differenze non sussistono, per quanto riguarda invece l'apporto soggettivo ho già detto che, mentre per il vero artista-pittore esso è essenziale, nella pittura iperrealista è pressoché assente. Un'altra differenza è quella della diversa concezione della composizione del quadro. Il pittore che si accinge a realizzare una vera opera d'arte non potrebbe mai limitarsi a dipingere un solo soggetto mettendolo in primo piano, limitando al massimo, se non addirittura eliminando, la presenza di elementi paesaggistici, o di altro genere, atti ad inserirlo in un qualsivoglia contesto ambientale, cosa che invece spesso si vede fare nella pittura iperrealista. In genere per il pittore iperrealista lo sfondo serve soprattutto a mettere in risalto il soggetto ritrattato in primo piano, quindi è tutt'altro che insolito che nei suoi dipinti lo sfondo sia addirittura monocromatico, realizzato col colore che egli ritiene più adatto allo scopo.

Bisogna dire inoltre che per il vero artista-pittore il quadro non deve e non può assolutamente essere interpretabile in modo univoco. Se lo fosse, infatti, egli anteporrebbe il soggetto finito rappresentato, e l'eventuale messaggio ad esso legato, all'idea di Dio concepito come l'Indefinibile.

Per la grande fede che lo anima e che pervade le sue opere, egli non potrebbe mai farlo. C'è poi anche una questione di coerenza ed onestà intellettuale che glielo impedisce. Per lui un quadro è un insieme di tante cose finite, anche dal significato opposto fra loro, ma nessuna di esse è più importante delle altre perché tutte per lui hanno la stessa importanza. Con tali presupposti è chiaro che per il vero artista-pittore lavorare a grande scala non è neanche pensabile: poiché pieni di tante cose per lui tutte importanti, se egli volesse dipingere i particolari in modo del tutto agevole come fa il pittore iperreale, i suoi quadri verrebbero ad avere delle dimensioni talmente grandi da risultare irrealizzabili, e comunque, anche se fossero fattibili, non ne varrebbe la pena perché la cosa comporterebbe comunque troppo dispendio di energie e di tempo.

Vado adesso a spiegare più in profondità e i motivi che sono alla base di questo modo di fare pittura e le caratteristiche del dipinto così concepito.

Quando un quadro mira solo a trasmettere emozioni (o comunque cose legate alla percezione dei sensi o definibili razionalmente) il suo autore è lontano dall'idea di completezza di Dio, e la sua composizione riflette il grande vuoto che ha dentro e che egli vorrebbe colmare cercando di trasmettere, ma anche soprattutto di ricevere dal pubblico, emozioni sempre più forti, le quali però inevitabilmente si rivelano comunque insufficienti perché vanno ad interessare soltanto i sensi dell'uomo (il Colorismo cui ho già accennato, ad esempio, tende a coinvolgere oltremisura la vista attraverso le cromie accese del dipinto) e la sua sete egoistica di essere al centro dell'attenzione, lasciandolo insoddisfatto perché il suo vuoto interiore, che gli deriva dalla mancanza di Dio, non può che essere colmato se non da Dio stesso. Si capisce allora che la vera opera d'arte pittorica è quella compositivamente equilibrata sotto tutti i possibili aspetti. E' quella che tende alla completezza, che ha in sé tante cose ma nessuna delle quali è più importante delle altre. Come in Dio sussiste tutto ma nessuna delle infinite cose che sono in Lui prevale sulle altre perché altrimenti Lo caratterizzerebbe dandoGli una definizione, così deve essere anche il dipinto: una composizione equilibrata ed armonica sotto tutti i punti di vista, in modo che, mediante la giustapposizione dei vari elementi che compongono il quadro (ricorrendo anche alla compresenza di simboli opposti, in quanto in Dio sussistono anche i contrari), l'osservatore dell'opera sia indotto ad andare, con gli occhi dello spirito, al di là di ciò che vede con gli occhi del corpo, per immergersi nella contemplazione di Dio, dell'Infinito.

C'è da dire, a questo punto, che Dio non è la sommatoria delle infinite cose definite e limitate che l'uomo riesce a concepire con la sua mente razionale: se così fosse ognuna di esse verrebbe ad avere una valenza oggettiva ed assoluta; ma ciò non può essere perché di Assoluto ce n'è uno solo, e cioè Dio. Egli è un Tutto che trascende ogni divisione e differenziazione fra le cose, cosa questa che per l'uomo è destinata a rimanere un mistero che con le sue facoltà mentali non potrà mai svelare. L'uomo, per via dei suoi limiti dovuti al fatto di essere definito (se non altro anche solo per avere un corpo materiale), certe cose semmai le può solo intuire, e di Dio non può dare che definizioni parziali. Il pittore, quindi, per rappresentare l'Infinito, o per assurdo lascia la tela bianca in modo che sia l'osservatore ad immaginarsi ciò che vuole, oppure realizza dipinti nei quali l'equilibrio delle varie componenti (e qui va ribadita l'importanza della compresenza dei simboli opposti nello stesso quadro) ha una importanza fondamentale perché gli consente di alludere, di riferirsi, seppur indirettamente, a Dio. L'uso dello sfumato poi esprime una volontà di sintesi, di ricerca di unitarietà nel dipinto, che comporta una minore attenzione al dettaglio per dipingere figure dai confini sempre meno netti ed optare per soluzioni pittoriche che, se spinte fino alle estreme conseguenze, potrebbero anche arrivare fino all'Informale. Ma, per i motivi già detti, non è auspicabile spingersi fino a tanto e, per il vero artista, l'uso dello sfumato nel figurativo è certamente più congeniale. Con l'uso di colori soffusi, sbiaditi, nella cui composizione il bianco è presente in modo importante, si può infatti ottenere una maggiore unitarietà della composizione. Il bianco è l'insieme di tutti i colori dello spettro solare e, per questa sua caratteristica, simboleggia bene l'Infinito, Dio in cui tutto sussiste. Per questa ragione trovo che un cielo bianco, in un dipinto, possa rappresentare il punto di sintesi massima col quale alludere a Dio, cosa, fra l'altro, che trova anche l'avallo della tradizione, secondo la quale il cielo è considerato la sede per eccellenza del divino.

Alla luce di tutto quanto detto finora, credo che adesso sia più chiaro anche il motivo per cui la veraopera d'arte pittorica non può essere fatta solo di emozioni come invece certi pittori contemporanei vorrebbero far credere, né di niente altro che possa in qualche modo renderla (e con essa anche il suo autore) finita dal punto di vista espressivo e, di conseguenza, interpretabile in modo univoco. Essa, invece, deve dare adito alle più diverse interpretazioni pur rimanendo sempre uguale a se stessa. Deve appunto alludere a l'Infinito, deve come interloquire con la dimensione più meramente spirituale di chi la contempla, deve parlare di Dio, del Tutto di per sé indefinibile. La vera opera d'arte pittorica non impone mai il modo col quale essere interpretata, in quanto in essa, se concepita come ho appena detto, non c'è tendenzialmente nessuna componente che prevalga sulle altre. E' l'osservatore che deve dare la sua interpretazione, la quale può variare a seconda del suo stato d'animo. Come l'uomo non può comprendere l'infinito a causa dei propri limiti umani, potendo tutt'al più darne solo definizioni razionali parziali, così anche il dipinto che ne è l'espressione non può che essere interpretabile in infiniti modi diversi, nessuno dei quali però mai esaustivo per quanto riguarda la comprensione razionale di Dio da parte dell'uomo.

Nei secoli passati questi argomenti sono stati il vessillo del credo filosofico e artistico dei pittori romantici tedeschi di fine Settecento. Ma della loro pittura, dei modi di rappresentazione pittorica nonché della filosofia che sta alla base del modo di concepirla, semmai parlerò in modo ancora più approfondito in un altro mio libretto. Qui ho voluto parlare più in generale della pittura e del significato della vera opera d'arte pittorica.

Spero vivamente che questo mia breve trattazione possa quanto meno essere d'aiuto a tutti coloro che, come me, amano l'arte e la pittura in particolare, fino al punto di farne motivo conduttore della propria vita. Inoltre, essa vuole essere un ringraziamento per chi, essendo passato a miglior vita, ha lasciato nei loro cari ricordi nei quali la pittura comunque è presente in modo significativo: specialmente per tutti quei padri di famiglia che, come il mio, hanno seguito fino alla fine dei loro giorni il proprio figlio non ostacolandone mai in alcun modo le aspirazioni artistiche, ma anzi aiutandolo e sostenendolo, come meglio hanno potuto, nel percorso, certamente non privo di difficoltà, della carriera pittorica. Ma questa è solo una delle tante ragioni per cui a mio padre, che per me continuerà per sempre ad essere una presenza preziosa e insostituibile, va la mia particolare riconoscenza e un grazie dal profondo del mio cuore... le altre motivazioni rimarranno per sempre un segreto fra me e lui.

Andrea Alfani

Sul retrocopertina:

La vera opera d'arte è quella che è interpretabile e conoscibile in molteplici modi diversi pur rimanendo sempre una ed uguale a se stessa. E' il riflesso delle infinite forme e identità sotto le quali Dio, il Tutto di per sé umanamente indefinibile, si manifesta all'uomo. L'artista ispirato crea opere che sono mediatrici tra la natura, nella quale Dio si manifesta, e l'uomo. Opere che però, a causa dei limiti di quest'ultimo, rappresentano l'istante di una sempre inseguita, ma irraggiungibile, comunione tra le due sfere, quella appunto infinita di Dio e quella sempre e comunque finita dell'uomo. Dio è l'opera d'arte in assoluto. L'uomo, con la sua arte, non Lo può ricreare: con le sue opere, tutt'al più, può solo alludere a Dio, parlarne indirettamente, mai uguagliarLo né tantomeno superarLo. Il vero artista è cosciente di questo e ciò è alla base della sua umiltà. Sa che le sue opere non potranno mai essere come Dio e che perciò può solo avvicinarsi in modo asintotico alla perfezione. Per queste stesse ragioni sa anche che non si finisce mai di imparare, ed è questa consapevolezza che lo fa essere in sintonia con la vita stessa, con Dio... con la vita dello spirito che anima e illumina ogni vero artista (ma più in generale ogni uomo umile), mettendolo nella prospettiva di un continuo inarrestabile divenire che non ha mai fine.